Il
volgare latino, ovvero la lingua parlata dal popolo(=volgus) romano,
iniziò a cambiare lentamente quando cadde l’impero romano e le
comunicazioni divennero difficoltose. I nuovi conquistatori in qualce
caso adottarono i customi locali (es. Italia, Spagna) e qualche volta
no, comunque influenzarono ovunque il linguaggio. In buona parte non fu
una vera e propria scelta, ma dipese dal radicamento della cultura
romana1.
Dopotutto gli invasori erano una minoranza, probabilmente in
percentuale inferiore agli immigrati oggi presenti nelle varie nazioni
d’Europa. Anche se formavano la classe dirigente la loro influenza aveva
dei limiti.
All’inizio del secondo millennio il passaggio alle lingue romanze era
completo ed il volgare latino parlato in Italia era divenuto una serie
di lingue locali.
A
questo punto, il linguaggio letterario e scientifico era ancora il
latino classico, non solo in Italia, ma in tutta europa. Nel XIV secolo
Dante Alighiera scrisse La [Divina]2Commedia,
la prima grande opera scritta in quello che sarebbe diventato italiano.
Anche Boccaccio e Petrarca furono grandi poeti che influenzarono la
letteratura europea. L’importanza di questi poeti non è dovuta solo al
fatto che scrissero capolavori, ma anche poiché furono i primi a
sostenere l’uguaglianza delle lingue volgari e del latino. In questo
cambiamento culturale, l’uguaglianza con i grandi antichi, giace il
fondamento del Rinascimento
I popoli italici avevano una grande rilevanza nei commerci e questo fece sì che che il veneziano e il genovese guadagnassero una vasta diffusione, diventando la base per l’originale lingua franca, idioma usato per i commerci mediterranei. Il nome infatti, non deriva dal fatto che fosse legato al francese, ma perché tutti gli europei erano chiamati franchi dai bizantini3, a loro volta chiamati greci. Appellativi nati soprattutto per questioni politiche circa i due imperi: Sacro Romano Impero e Impero Romano d’Oriente, spregiativamente chiamati dalle parti avverse Impero dei Franchi e Impero dei Greci. Per dire, appunto, che gli altri non erano veri romani.
Anche il siciliano ebbe una certa breve rilevanza dopo la conquista Normanna. Ma nonostante i degni avversari fu proprio l’eredità letteraria del fiorentino, unito all’importanza economica di Firenze, che fu fondamentale per l’adozione di un linguaggio comune durante il Rinascimento. Questo linguaggio comune era principalmente usato alle corti dei diversi stati della penisola italiana.
Ormai
divenuto senza rivali, rimaneva comunque poco utilizzato al di fuori
della buona società, fatto ovviamente eccezione per i toscani. Pertanto
un’altra opera fondamentale per la definizione del linguaggio fu I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, nel XIX secolo. Originariamente Fermo e Lucia,
prima che Manzoni andasse a «risciacquare i panni nell’Arno», cioè
rivedesse il romanzo per depurarlo di molte influenze lombarde e
avvicinarlo maggiormente alla lingua fiorentina.
Benché l’opera di standardizzazione potesse definirsi completa dal punto di vista letterario, la sua diffusione rimaneva limitata. Al momento della riunificazione dell’Italia, nell’anno 1861, soltanto una piccola minoranza della popolazione, meno del 5% parlava l’italiano. A parte la progressiva educazione della popolazione, l’evento che ne segnò la defnitiva affermazione popolare fu la Prima Guerra Mondiale. La leva portò insieme milioni di persone e li costrinse, ufficiali e soldati, nella guerra e nella vita sociale, a parlare una lingua comune per sopravvivere.
Note
1. anzi i Longobardi, conquistatori d’italia, furono alquanto sprezzanti dei locali e delle loro tradizioni, ma non riuscirono a cambiarle [↵]
2. l’aggettivo fu aggiunto da Boccaccio [↵]
3. peraltro il nome bizantino è un’invenzione moderna, loro si chiamavano romani, anche se in greco [↵]