Viviamo in un mondo complesso in cui l’accesso all’informazione è vasto, ma la sua comprensione è limitata. Questo è esarcebato dall’uso dei numeri, che non mentono, ma ingannano. In poche parole è facile dire che un Paese ha un certo tasso di occupazione, meno capire cosa comporti un certo livello e se sia un bene che sia più alto di X.
Per esempio, il tasso di occupazione è la percentuale di persone in età lavorativa che effettivamente lavorano. Non è l’opposto del tasso di disoccupazione, ovvero la percentuale di persone che cercano lavoro e che non lo trovono. Il tasso di disoccupazione può scendere quando aumenta la disperazione a punto tale che le persone rinunciano a cercare lavoro.
Ma è sempre un bene un maggior tasso di occupazione? Forse no, al 100% significherebbe che nessuno rimarrebbe a casa ad occuparsi dei figli. Sarebbe una cosa buona? Lo sarebbe anche se ciò accadesse per costrizione, perché un solo stipendio non è più sufficiente a sopravvivere?
C’è ancora un enorme differenza tra chi cita i numeri e chi capisce una materia. I numeri aiutano, ma possono anche dare semplicemente l’illusione di aver compreso qualcosa.
Libertà? Me ne dia un etto
E se questo è vero per cose facilmente quantificabili, come il lavoro, tanto lo è di più per oggetti come la libertà.
Ci sono molti indici di libertà: libertà politica, economica o persino morale. Generalmente sono tutti finanziati da governi o specifici gruppi culturali. Per esempio, l’indice di libertà morale è stato creato da un think tank libertario.
Ora questo non significa che non sia oggettivo, ma potrebbe sottolineare alcuni aspetti per difendere una certa visione della libertà.
Generalmente gli indici politici sono più affidabili, o perlomeno condivisi, quando sono creati da accademici che condividono metodi e studi. Esempio di tali indici sono:
- il Human Rights Data Project, che misura dati sulle violazioni dei diritti umani
- il Polity, che individua un livello di democrazia per ogni Stato, nell’asse tra autocrazia e democrazia
Non è un caso che spesso questi indici non si propongono di misurare letteralmente la libertà, ma dati più o meno oggettivi, come la classificaizone di un governo o il numero di violazioni dei diritti umani.
Più libertà non è sempre meglio
Ovviamente tutti sottintendono che un livello di libertà più alto sia migliore, ma è davvero così? Non sempre è così dal punto di vista morale, o in base ad altri valori terzi.
Un esempio del primo problema è quello della schiavitù: oggigiorno è illegale rendere schiavo qualcuno, anche con il consenso dell’interessato. Al di là della schiavitù forzata, una volta vi era la schiavitù per debiti. Ovvero se non potevi pagare un debito finiva in prigione, quindi la tua famiglia doveva trovare un modo per ripagare il debito in qualche maniera. Non c’era via di scampo. Alcuni sostenevano che eliminandola si sarebbe ridotto l’accesso al credito per i poveri (cosa non accaduta).
Un altra forma di schiavitù molto vicina a questa era la servitù debitoria. Dato che i viaggi per il nuovo mondo costavano troppo per la gente comune, vi erano persone che pagavano il viaggio accettando un contratto di servitù fino all’estinzione del debito. Questo contratto veniva poi venduto dal trasportatore a terzi.
Questa impossibilità di vendersi è una restrizione della libertà, perché nessuno può scegliere di accettare la schiavitù in cambio di un qualche tornaconto. Però ritengo che la maggior parte delle persone sia d’accordo con essa.
Un esempio di altri valori che potrebbero essere negativamente impattati dalla libertà, sono quelli economici. La Cina è cresciuta molto, alcuni sostengono perché è una dittatura. Tralasciando che bisognerebbe ricordare che per 20 anni è cresciuta poco proprio perché una dittatura, e se ciò fosse vero? Avrebbe senso avere meno libertà per più ricchezza? Non esiste una risposta univoca. Vale a dire è legittimo dissentire sul fatto che sia un bene o un male.