Questa sarà la recensione del libro di Belardelli, quanto una riflessione su Mazzini stesso. Innanzitutto devo dire che ho trovato questo libro migliore di quelli di Denis Mack Smith che, se potete, vi consiglio di evitare. Dico se potete perché è sicuramente lo storico del risorgimento italiano che ha avuto più fortuna; ha scritto libri sia sui tre padri della patria che sul risorgimento in generale, sulla dinastia Savoia e la storia post-unitaria. Insomma per chi vuole approfondire la storia della fondazione d’Italia è difficile evitarlo. Il problema di Smith consiste nella sua abitudine ad esprimere opinioni personali sull’oggetto dei suoi studi; ad esempio rivela una certa ostilità per Cavour, accusato di bassezza morale, sostanzialmente per la sua alleanza con la Francia che Smith, da buon inglese, non gradisce. Tale atteggiamento è ovviamente discutibile per uno storico1. Al contrario Belardelli si limita a criticare Mazzini, ovvero ad osservare oggettivamente i suoi difetti. Ad esempio, quando rimarca che egli spesso mostrava una rocciosa ignoranza della realtà italiana, sia per il suo esilio che per sua personalità.
Vita e personalità di Mazzini
Venendo al libro, esso inizia con la descrizione della sua
formazione, inclusa l’osservazione sul rimaneggiamento fatto da Mazzini
stesso circa la sua prima esperienza politica, non la sua
partecipazione (insignificante) ad un moto studentesco, bensì l’incontro
con tre profughi di falliti moti piemontesi venuti a chiedere
l’elemosina, che Mazzini descrisse come una sorta di illuminazione circa
la sua missione. Egli visse la sua vita come una missione solitaria2, per la maggior parte in esilio, coltivando l’immagine di un profeta. Benché sia stranota la sua accentuazione del dovere, questa presentazione mostra anche la sua meno famosa malinconia3 che sembra portarlo a momenti di sconforto reali e, nota l’autore,
talvolta strategici per raccontare la sua sofferenza politica.
Mazzini fu indubbiamente votato alla sua causa, vivendo anche in ristrettezze per aiutare altri emigrati italiani4,
ma esiste anche un parallelo tra la sua doppiezza politica e quella
personale. Ad esempio dopo l’unità italiana Mazzini scelse di rimanere
in esilio, benché avrebbe potuto usufruire di un’amnistia, ufficialmente
per protestare contro la rivoluzione mancata 5 rappresentata dal regno sabaudo, ma viene da pensare anche perché la
sua vita, personale e politica, era più comoda a Londra. Ciò sia perché
tutta la sua rete di supporto era lì, sia per la sua tendenza alla
cospirazione, che gli rimase per tutta la vita dai tempi della
carboneria, ed infine perché ciò gli permetteva di ignorare la reale
condizione del Paese e coltivare la sua visione profetica6.
E ancora: la sua capacità di accettare compromessi temporanei unita
alla sua inflessibilità nel tramare per ottenere i suoi obiettivi
finali; la sua capacità di mantenere una fitta rete di contatti, che lo
portò ad essere la voce più importante in Europa della lotta per l’unità
d’Italia, unita alla sua incapacità di ammettere fallimenti, che erano
sempre colpa di cattivi esecutori; la sua abilità nel comprendere i
difetti dei piani altrui, ma la sua assoluta incapacità (ovvero non
volontà) di ammettere l’irrealizzabilità dei propri.
La personalità di Mazzini erano le sue idee e viceversa. Essendo un
romantico le sue contraddizioni, personali e politiche, erano parte
della sua stessa natura, priva di organizzazione, ma vissuta con totale
convinzione. Questo suo assolutismo lo portò anche a vivere gli ultimi
anni estremamente amareggiato, ritenendosi totalmente sconfitto, visto
che l’unità non era stata ottenuta come voleva lui. Cioè non aveva
portato a quella rivoluzione morale, vero scopo della sua lotta. É anche
vero che la sua emarginazione politica fu reale, vista appunto la sua
radicalità, benché mantenne una grande influenza morale. In altre parole
l’esilio finale di Mazzini, questa sua vicinanza spirituale e
lontananza materiale, era la soluzione migliore per tutti.
La religione politica di Mazzini
La visione politica di Mazzini era religiosa, egli disse che «tutte
le questioni si risolvono in una questione religiosa». Credeva nella
religione come sistema più che in una specifica religione. Anche se era
assolutamente contrario al materialismo ne condivideva certe idee di
fondo, ad esempio credeva che la religione, come l’umanità, progredisse,
anche se era finita l’epoca del cristianesimo, sarebbe stato necessario
creare una nuova religione7.
Come dice Belardelli, era influenzato da idee condivise dal mondo
democratico francese, ma non era necessariamente consapevole, tale
aspetto ne è un esempio, ma non è l’unico.
Anche per via del suo romanticismo, che sosteneva la supremazia del
cuore sulla ragione, Mazzini era portato a mischiare convinzioni
assiomatiche con ragionate considerazioni, in maniera tale che è
difficile capire quale fosse la vera causa di talune posizioni. Alcune
di queste convinzioni erano: la fine della supremazia francese, la
necessità dell’unità, la libertà fondamentale come mezzo ma non come
fine, l’ostilità verso gli interventi stranieri.
La fine del ruolo della Francia nella lotta per la libertà era dovuto da
una parte all’irreversibilità della rivoluzione francese che aveva
creato diritti acquisiti, dall’altra alla volontà di supremazia della
Francia. La prima comportava che si andasse oltre ad essa, con i doveri,
creando una nuova religione politica che potesse dare fondamento alla
nuova società. La seconda richiedeva la nascita di una nazione italiana,
creata attraverso una rivoluzione morale più che politica, che avesse
una primazia, appunto, morale e non di governo sull’Europa. Era questa
la missione assegnata da dio al popolo italiano.
L’unità morale, politica, sociale, culturale era fondamentale per
Mazzini, di nuovo per ragioni pratiche e filosofiche. Una repubblica
unitaria, invece del federalismo, era necessaria perché la nazione fosse
forte, in grado di difendersi da stranieri altrettanto forti. Bisognava
evitare le lotte tra classi, difendendo la proprietà privata, ma
facendo concessioni alle parti povere della società. Si doveva lottare
contro l’Austria, per unificare la nazione, ma anche perché l’ostilità
della stessa era inevitabile, tanto che Mazzini tentò durante vari moti
di far intervenire l’Austria per scatenare una rivoluzione. L’unità era
presente anche nel suo amore per il popolo come ideale, che però doveva
essere guidato da un’avanguardia dotata delle necessarie qualità morali.
Questo suo aspetto, unito alle continue critiche del popolo reale, che
avveniva spesso dopo le fallite insurrezioni, è un’altra caratteristica
mazziniana.
Mazzini da una parte insisteva per il diritto inviolabile del singolo,
dall’altra era assolutamente contrario all’individualismo. La libertà,
in particolare quella educativa, era semplicemente un mezzo per
conquistare la Verità, che una volta raggiunta doveva essere ubbidita.
Egli era curiosamente insistente nel difendere la libertà individuale
come fondamenale qualore venisse attaccata, ma al contempo a negare il
valore quando ne aveva la possibilità. Di nuovo si mischiano la
doppiezza e la volontà di unità del nostro protagonista.
Se è vero che il nostro eroe era contrario agli interventi stranieri,
con buone motivazioni pratiche, è indubbio che il suo maggior contributo
alla causa dell’unificazione fu proprio la perorazione della causa
dell’unità tra gli stranieri. Un episodio degno di nota è il seguente:
in Inghilterra fu scoperto che la sua corrispondenza veniva violata e
passata agli austriaci; Mazzini convinse un deputato radicale a
rivelarlo e ciò fece scoppiare uno scandalo. Egli utilizzò la fama
ottenuta per perorare la causa della rivoluzione, sia modificando alcuni
tratti indigesti della sua filosofia agli inglesi, come l’uso della
violenza, sia ingraziandoseli con riferimenti alla Gloriosa Rivoluzione
inglese. Mazzini attribuì anche, falsamente, a questo spionaggio il
fallimento di una delle sue ennesime rivolte.
La vittoria finale era inevitabile, poiché la missione era divina,
quindi non solo i fallimenti erano insignificanti, ma quasi utili:
«cadete cento volte, apostoli del futuro, ma rialzatevi e ricominciate a
operare: come il gigante della mitologia, la libertà attinge nuove
forze ad ogni caduta». Le sconfitte sono comunque vittorie perché si
combatte, la nazione esiste anche se solo nei principi.
Un altro punto, che racchiude bene i contrasti del personaggio, era la
sua contrarietà al comunismo, la sua intuizione, rivelatesi corretta,
era che la sua realizzazione avrebbe richiesto la creazione di una
gigantesca burocrazia, in grado di dirigere e calcolare, la quale
sarebbe stata inevitabilmente dittatoriale. Naturale è il paragone con
il governo totalitario ipotizzato da Mazzini, che addirittura prevedeva
l’unificazione di Stato e Chiesa, il quale probabilmente avrebbe portato
a risultati simili. Questo è tutto Mazzini: lucidissimo nell’analizzare
i problemi pratici di altri piani, assolutamente negato nel delineare
la strategia dei propri.
Da ultimo cito un breve testo del libro sull’esperienza Mazzini circa la sua esperienza nella Repubblica Romana:
Seppe dar prova di moderazione e di insospettate capacità dimostrative; ma seppe anche agire con determinazione, ad esempio nel fare reprimere i gravi atti di violenza, ad opera di bande armate […] verificatesi nelle province. Possiamo per ciò stesso concludere che si sia rivelato […] uno «statista di razza» ? Direi di no, almeno non nel senso che intende chi ha formulato questo giudizio, vedendo all’opera in Mazzini una concezione «autenticamente moderna», della libertà, della democrazia e dello Stato, quando è vero semmai il contrario. Proprio a Roma infatti, nei suoi rapporti con la Costituente, Mazzini mostrò di non comprendere meccanismi e regole di un’assemblea rappresentativa, che restavano sostanzialmente estranei alla sua concezione di democrazia. […] É appena il caso di notare che sia la contrarietà ai partiti, concepiti come elementi di divisione di una volontà generale che è e deve restare una ed indivisibile, sia l’avversione alla divisone dei poteri mostrano come Mazzini si muovesse nel solco della tradizione democratica rousseauiano-giacobina, non diversamente dal resto del repubblicanesimo d’Oltralpe. 8
Conclusione
Mazzini finì la sua vita considerandosi uno «sconfitto», ma in realtà
i suoi successi furono notevoli, uno su tutti la diffusione dell’idea
di un’Italia che unisse tutta la penisola, che altri, come Cavour, non
condividevano o, come Cattaneo, a cui preferivano la libertà della
propria piccola patria. Il problema, per Mazzini, era che lo
considerasse solo un mezzo per iniziare una resurrezione morale,
dell’Italia e poi dell’umanità. La fortuna e la condanna di Mazzini fu
proprio quella di essere un profeta intransigente. Quelli che furono i
suoi successi pratici, come appunto l’unità, erano ignorati e
dimenticati, da lui e da gli altri, in vista di inarrivabili cambiamenti
morali. Al contrario è impossibile non notare il parallelo di certi
suoi atteggiamenti e richiami morali in buona parte della sinistra
italiana, che non è mai riuscita a governare (bene), anche per questa
sua natura assolutista. Ciò non significa che la sua continua lotta sia
stata inutile, anzi fu di grande importanza, sia per creare sostegno
alla rivoluzione, in Italia e all’estero, sia per formare molti
protagonisti del Risorgimento, che si spostarono poi su opinioni più
moderate.
Mazzini non moderò mai le sue posizioni, che pertanto sono e rimangono
in parte abbastanza folli, ma in piccole dosi e come ispiratore, rimane
una grande figura del Risorgimento italiano, ieri come oggi. Il libro è
consigliato a chi interessa il Risorgimento, ma anche a chi vuole capire
l’origine di certi tratti della nostra politica, assieme cinica ed
idealista.
Note
1. ho l’impressione che la fortuna di Smith sia dovuta più alla sua non italianità che alla sua competenza; vista la nota polemica sul Risorgimento uno straniero ha un’utile aura di neutralità [↵]
2. anche se viene accennato ad una sua probabile relazione clandestina con una donna inglese [↵]
3. l’autore cita Mazzini che parla di «spleen intraducibile» [↵]
4. fino a quando, più tardi nella vita, fu costretto a vivere in ristrettezze per la confisca dei suoi beni dovuta ad una condanna [↵]
5. tema che sfortunatamente ebbe fortuna ed imitatori [↵]
6. e, si sa, nemo profeta in patria [↵]
7. emblematico in tal senso il suo credere nella reincarnazione [↵]
8. p. 152 [↵]